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La situazione psicologica delle donne in Afghanistan

donne afghanistan

Nella parte finale di quest’estate 2021 le notizie provenienti dall’Afghanistan hanno sconvolto il mondo intero. La presa di Kabul da parte dei talebani ha scosso e terrorizzato soprattutto per le conseguenze che questo evento comporta per la popolazione, in particolare quella femminile. 

“Siamo nascoste in cantina. Siamo sole. Vi prego portateci via”, è la voce in lacrime di una ragazza di 24 anni che ha studiato, lavora per una Ong internazionale. E ormai da tre giorni se ne sta chiusa a casa con la sorella nella speranza che i talebani non le trovino. La loro colpa? Essere donne, aver studiato e lavorare. – Questo si legge sulle pagine di Repubblica il 17 Agosto 2021. “A nessuno importa di noi, scompariremo”: è l’appello in lacrime partito sui social da una ragazza giovanissima, probabilmente nata dopo il 2001, anno in cui il regime islamico è caduto e con lui alcune delle terribili limitazioni imposte alle donne.  

Durante il regime talebano, infatti, alle donne afghane era proibito uscire di casa, se non accompagnate da un tutore maschio. Il burqa era obbligatorio, non potevano curare il loro aspetto in nessun modo: niente trucco, smalto o gioielli. I tacchi vennero vietati nel luglio del 1997. Non potevano ridere. Non potevano lavorare. I contatti con il sesso opposto erano limitati in ogni modo. Non solo gli abiti coprivano ogni parte del corpo, ma lo sguardo non doveva incrociare quello di un maschio, non potevano tenere la mano di un uomo. Le donne dovevano essere invisibili, impercettibili, cancellate tanto da dover stare attente a non far troppo rumore mentre si muovevano. Non avevano la possibilità di parlare dei loro problemi o delle loro paure, di esprimersi liberamente, non avevano diritti in famiglia come nella società, né alcun controllo sul loro destino. Come se non bastasse, a queste limitazioni si accompagnavano punizioni estreme in caso di trasgressione, con amputazioni e pene di morte eseguite in pubblico. Anche solo immaginare di vivere in questo incubo fa orrore, proviamo a pensare alle conseguenze non solo fisiche ma anche psicologiche di queste imposizioni. Tantissime donne in quegli anni si sono tolte la vita come estremo tentativo di scampare a questo destino. 

Con la caduta del regime talebano nel 2001, le donne hanno lentamente ottenuto alcune piccole concessioni. In maniera progressiva hanno potuto nuovamente rendersi visibili, dopo anni trascorsi dietro un burqa, non più obbligatorio. Piano piano hanno popolato le scuole, i posti di lavoro, le televisioni. È stato concesso nuovamente loro il diritto di voto. La riconquista dell’emancipazione però non è stata facile e senza vittime: nel 2012 ci sono stati 240 casi di delitti d’onore. Soprattutto nelle campagne e nei villaggi rurali la condizione della popolazione femminile non era molto cambiata. Si è calcolato che in Afghanistan il tasso di analfabetismo femminile raggiunga l’88%. Non va meglio per la situazione sanitaria: il 50% delle donne continua a partorire in casa, con la sola assistenza di parenti più anziane, e la mortalità materna è ancora altissima. All’interno delle famiglie, forse ad eccezione della capitale Kabul dove andava meglio, è rimasto un rigido patriarcato e le donne sono sottoposte a violenze fisiche, psicologiche e sessuali, che nell’82% dei casi avviene all’interno delle mura domestiche. Tra le vessazioni sono inclusi abusi, delitti d’onore, rapimenti, prostituzione, stupri, matrimoni precoci e obbligati. L’indice di uguaglianza di genere è rimasto il più basso in assoluto nel mondo: 0.71 (in base ai dati di Fonti: TrustLaw, Fondazione dell’agenzia Reuters; Medica Mondiale; Amnesty International; Rapporti Nazioni Unite). Racconta Simona Lanzoni, vicepresidente di Pangea onlus, associazione italiana che dal 2003 opera in Afghanistan in progetti a favore delle donne e che in quel Paese ha una trentina di collaboratrici di varie età: “I talebani non le rispettavano prima e per quanto possano fare degli sforzi, per noi è veramente difficile pensare che le rispetteranno adesso”. Il passato insegna che in questo Paese sono sempre state le donne a pagare il prezzo più alto, eppure gli ultimi decenni raccontano di una metamorfosi molto importante.

E adesso cosa ne sarà delle afghane?

“Sono stati messi molti semi che stavano generando una trasformazione, lenta, ma che aveva permesso alle bambine di venire istruite”, racconta ancora la Lanzoni. Nelle zone rurali dell’Afghanistan si arriva al 100% di analfabetismo per le donne, mentre in città solo un 20% ha iniziato a studiare, ad andare a scuola e all’università, ed è quella la grandissima speranza per il futuro. “In questo periodo i semi avevano iniziato a dare anche dei frutti, dei cambiamenti sociali ci sono stati anche per le ragazze”, ora il ritorno dei talebani riporta tutto indietro, a ben oltre vent’anni fa. Le ragazze nate dopo il 2001 infatti sono cresciute in un paese relativamente libero e simile a quelli occidentali che conosciamo. Hanno potuto studiare, lavorare, uscire di casa liberamente, usare i social. Ora, improvvisamente, si trovano catapultate in un incubo. I talebani hanno iniziato molto presto a imporre nuovamente molte restrizioni per le donne. Si è cominciato cancellando i volti delle donne dai cartelloni pubblicitari, togliendo le giornaliste dalle tv, impedendo alle insegnanti donne di avere alunni maschi, separando maschi e femmine nelle scuole. I comandanti talebani hanno ordinato rastrellamenti nelle case, alla ricerca di donne nubili o vedove tra i 16 e i 45 anni, per farsele consegnare dalle famiglie e destinarle al matrimonio forzato con combattenti islamici. Immaginiamo il terrore delle giovani che sanno a cosa potrebbero andare incontro se venissero trovate: molto probabilmente stupro, sottomisione totale ad un uomo violento, assenza di qualsiasi diritto. Possiamo capire perché stiano cercando in ogni modo di nascondersi e fuggire, con tentativi disperati. Possiamo solo provare a immaginare la paura che stanno provando. E’ forse incalcolabile l’impatto psicologico di un trauma del genere su queste ragazze. Quella che si prospetta davanti a loro se le cose procederanno in questo modo, non è vita, ma sopravvivenza. 

Secondo un rapporto di Reporters Sans Frontieres, meno di un settimo delle giornaliste di Kabul è tornato a lavorare dopo la caduta della capitale nelle mani dei terroristi. Prima del 15 agosto a svolgere la professione di giornalista erano in più di 700 donne, oggi quelle ufficialmente impiegate sono meno di 100. E’ notizia di questi giorni che ad Herat un numeroso gruppo di donne si è riunito sotto gli uffici dell’amministrazione provinciale per protestare contro l’esclusione femminile dalla società da parte dei Talebani: stanno escludendo le donne da ogni ruolo importante. Non sarebbe nemmeno più concesso loro di recarsi negli uffici privati e pubblici per svolgere le loro mansioni quotidiane. Le donne di Herat, però, hanno deciso di non subire ma sono scese a manifestare, con cartelli e slogan incisivi e chiari. “Non siate timorose! Siamo tutte insieme, siamo tutte insieme!”. “Nessun governo può sopravvivere senza il sostegno delle donne”. A conferma di quanto detto, è stato possibile constatare che negli ultimi anni le donne afghane hanno potuto studiare, ottenere ruoli importanti e scalato rapidamente le classifiche dei test d’accesso universitari. Le competenze che hanno acquisito sono fondamentali per lo sviluppo di tutta la società afghana. Il senso di impotenza che proviamo guardando i filmati e le immagini provenienti da quelle zone, la disperazione di chi cerca di fuggire, famiglie intere che provano in tutti i modi a mettersi in salvo: questo non deve consegnarci all’indifferenza. Le associazioni umanitarie si sono fin da subito mobilitate, chiedendo alla comunità internazionale e all’Europa un impegno concreto affinchè si chieda il rispetto dei diritti umani e si lavori alla creazione di corridoi umanitari. I centri antiviolenza sono pronti ad accogliere le afghane e i loro bambini.

In NESSUN luogo e in NESSUN caso andrebbe perpetrato questo totale annientamento dei diritti umani.

Bibliografia

ilfattoquotidiano.it

repubblica.it

casainternazionaledelledonne.org

vita.it

vaticannews.it

huffingtonpost.it 

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