Cos’è la gentilezza?
Secondo la definizione del vocabolario Treccani, la gentilezza è un insieme di atti, espressioni, gesti di “amabilità, garbo e cortesia nel trattare gli altri”, una predisposizione d’animo basato sul rispetto e la cura per sé, per l’ambiente in cui viviamo ed anche per gli altri. Il 13 novembre viene celebrata la giornata mondiale dedicata alla gentilezza, istituita con lo scopo di valorizzare e ispirare gli atti di altruismo, cortesia e affabilità.
Come mai si è sentito il bisogno di celebrare la gentilezza dedicandole addirittura una giornata internazionale? Psicologi e sociologi stanno evidenziando sempre più come coltivare sentimenti di cura verso sé e gli altri, a cui corrispondono poi comportamenti che vanno nella stessa direzione, possa essere un potente strumento per la riduzione di ansia e stress, e in generale aumenti il benessere psicologico e la qualità di vita.
Essere gentili fa bene alla salute
Ci sono diversi studi che dimostrano come praticare gentilezza o fare del volontariato faccia bene alla salute, riducendo l’ansia e aumentando la stima di sé. A supporto di ciò due psicologhe sociali, Jennifer L. Trew e Lynn E. Alden (Alden et al., 2013) hanno verificato, su un campione di 115 studenti delle scuole superiori, che praticare atti di generosità “a caso” potrebbe essere il segreto per alleviare una particolare forma di ansia, quella sociale, che corrisponde all’ intensa paura di esporsi al giudizio degli altri o di trovarsi in determinati contesti sociali.
I giovani impegnati nella pratica della gentilezza hanno svolto ogni giorno per un mese piccoli favori e gesti gentili verso amici e familiari. Alla fine del periodo di studio hanno riportato miglioramenti nella loro vita sociale e si sono dichiarati più felici e meno stressati.
Sembrerebbe addirittura che fare del bene agli altri possa avere ripercussioni sulla salute fisica e sulla longevità. Da sempre chi è impegnato nel volontariato afferma che quest’attività è un’enorme fonte di soddisfazione e piacere, ma la Dott.ssa Suzanne Richards dell’Università di Exeter in Inghilterra, ha voluto confermare queste impressioni prendendo in esame 40 ricerche precedenti sull’argomento (Jenkinson et al., 2013). I risultati di questa analisi approfondita sembrano parlare chiaro: i vantaggi del volontariato per la salute mentale includono un miglior benessere psicofisico globale, minor rischio di ansia e depressione e una maggiore soddisfazione per la propria vita in generale. Alcuni dati hanno anche suggerito una riduzione della mortalità del 20% in chi pratica volontariato, tuttavia la dott.ssa Richards ha ammesso che le prove dei benefici sulla longevità non sono del tutto convincenti. Un fattore che sembra essere fondamentale nel determinare questi effetti positivi, è il vissuto di chi svolge attività benefiche senza aspettarsi nulla in cambio: per queste persone l’atto stesso di aiutare qualcuno restituisce un senso di soddisfazione che appaga e aumenta il benessere psicologico.
Tali effetti benefici sembrano poi riversarsi anche sul fisico: gli adolescenti coinvolti in attività di volontariato hanno riportato una riduzione dei livelli di colesterolo e dei marcatori delle infiammazioni, oltre che effetti positivi sull’autostima e sull’umore.
Alcuni ricercatori affermano che questo possa avvenire perché aiutare gli altri è appagante per la psiche e questo, attraverso il sistema neuroimmunoendocrino che mette in comunicazione cervello, sistema immunitario e attività metaboliche, avrebbe ripercussioni benefiche su tutto l’organismo.
Altri autori (Neely et al., 2009) hanno voluto indagare se la compassione verso sé stessi, e non verso gli altri, fosse un fattore correlato al benessere mentale degli studenti universitari in momenti di forte stress (in particolare quando fallivano il raggiungimento di un obiettivo importante). Gli studenti hanno risposto ad una serie di test che misuravano i loro livelli di stress, di benessere psicologico e di autocompassione. Quest’ultimo aspetto è stato indagato con un questionario in cui vi erano affermazioni del tipo “Cerco di considerare i miei sentimenti come parte della condizione umana” o “Sono tollerante nei confronti dei miei difetti e delle mie inadeguatezze”. Gli autori hanno trovato una correlazione positiva tra alti livelli di compassione e di benessere psicologico.
La compassione, in questo caso, viene intesa come un sentimento di partecipazione alle sofferenze della persona, unito al desiderio di alleviarle e di porre loro fine. Quando questo sentimento viene rivolto verso sé stessi, dunque, si traduce in un’accettazione del proprio dolore e delle proprie fragilità, viste come condizioni universali che accomunano tutti gli esseri umani, e non come un indice di inferiorità, stranezza o incapacità.
Provare compassione per gli altri e per sé è la base per coltivare la gentilezza. Allo stesso tempo però, agire in maniera gentile (anche se “forzata” inizialmente), stimola e alimenta sentimenti di compassione e cura.
Prendersi cura di sé
In questo periodo abbiamo voluto parlarvi di gentilezza in quanto riteniamo che prendersi cura di sé, in qualunque modo questo avvenga, sia l’ingrediente essenziale per costruire una vita soddisfacente ed essere felici.
Gli atti di gentilezza gratuiti innescano circoli virtuosi: se qualcuno è gentile con me senza esserne obbligato, mi verrà voglia di rimettere in circolo ciò che ho avuto. E se questo vale per le cose negative tanto più vale per quelle positive. Non c’è bisogno di gesti eclatanti, è sufficiente una carezza, un sorriso, lasciar passare un’auto che esce da un parcheggio, ascoltare uno sfogo senza giudicare, chiedere “come stai?”. Oppure, per coltivare gentilezza nei vostri confronti potete iniziare prendendo consapevolezza del modo in cui vi rivolgete a voi stessi: nel corso della giornata quante critiche vi fate e quanti complimenti? Che tono usate quando commentate quello che state facendo o vi date indicazioni? Provate a inserire nel vostro dialogo interiore qualche parola gentile o a trasformare le critiche in battute ironiche.
Lo sapevi che per coltivare la gentilezza puoi utilizzare anche la meditazione? Si tratta della Loving Kindness o meditazione della “gentilezza amorevole”, ovvero uno stato d’animo opponibile all’odio, ma più vasto dell’amichevolezza: una gentilezza amorevole che contiene in sé la vicinanza dell’amicizia, l’apertura della gentilezza, la gratuità dell’amore. Nella pratica della Mindfulness, la loving Kindness si riferisce a un tipo di meditazione finalizzata a suscitare nel meditante un sentimento di vicinanza a tutti gli esseri viventi, abbracciandoli nell’aspirazione che possano stare bene ed essere felici (Wallace, 2001).
Questa meditazione è l’antidoto all’ansia in qualsiasi forma essa si manifesti e stimola la consapevolezza delle gioie e dolori, speranze e paure proprie e di ogni persona vicina o lontana. Consente di porre ogni individuo sullo stesso piano: tutti vogliono essere amati, essere al sicuro e allontanarsi dalla sofferenza. Per provare a praticarla scarica qui il file audio!
Inoltre, se vuoi iniziare a prenderti cura di te e del tuo corpo, non farti scappare l’occasione di partecipare al nostro corso di Mindful eating. Attraverso questo percorso potrai imparare a porre piena attenzione e cura a quello che mangi e al modo in cui lo fai. Questo processo ha enormi benefici sull’umore, sui livelli di soddisfazione nell’alimentazione e sulla salute fisica. Se sei curioso e vuoi sapere come prenotarti clicca qui!
Bibliografia
Alden, L. E., & Trew, J. L. (2013). If it makes you happy: Engaging in kind acts increases positive affect in socially anxious individuals. Emotion, 13(1), 64.
Neely, M. E., Schallert, D. L., Mohammed, S. S., Roberts, R. M., & Chen, Y. J. (2009). Self-kindness when facing stress: The role of self-compassion, goal regulation, and support in college students’ well-being. Motivation and Emotion, 33(1), 88-97.
Jenkinson, C. E., Dickens, A. P., Jones, K., Thompson-Coon, J., Taylor, R. S., Rogers, M., … & Richards, S. H. (2013). Is volunteering a public health intervention? A systematic review and meta-analysis of the health and survival of volunteers. BMC public health, 13(1), 1-10.