Il pensiero non è realtà. Questo è un concetto apparentemente banale, ma di cui spesso ci dimentichiamo nella quotidianità delle nostre vite. Solitamente, infatti, siamo abituati a credere ai nostri pensieri, anzi, spesso neanche ci accorgiamo di dare continuamente interpretazioni alle cose che ci avvengono, ma siamo immersi nella nostra visione delle cose, che per noi è semplicemente la realtà.
Questa condizione viene definita “fusione cognitiva”: siamo così dentro al film dei nostri pensieri, da essere fusi con essi e da non riuscire a vedere che spesso la nostra è una visione soggettiva, distorta, parziale delle cose.
Facciamo un esempio.
Immaginate che state camminando per strada e incrociate una persona che conoscete, ma con cui non avete eccessiva confidenza. La persona vi passa accanto senza salutarvi.
Che cosa pensate?
Probabilmente ognuno di noi avrà dato una risposta diversa. C’è chi avrà risposto di aver pensato “Ce l’ha con me” o “Che cosa ho fatto?”; chi ha pensato che è una persona maleducata; chi di essere così insignificante da non essere notato per strada; chi che la persona era probabilmente sovrappensiero e distratta.
La verità è che non potremo mai sapere come mai quella persona non ci ha salutati (a meno che, certo, non glielo chiediamo), tuttavia, in quel momento, l’interpretazione che diamo della situazione diventa per noi la nostra verità, a tal punto che può influenzare l’attivazione di alcune emozioni (senso di colpa, rabbia, vergogna, tristezza…) e di comportamenti (ad esempio rimanere offesi e non parlare più con quella persona).
La nostra mente, dunque, fa in sottofondo un continuo lavoro di etichettatura e interpretazione di tutto quello che ci accade, senza che noi ne siamo consapevoli. Questo processo tendenzialmente va a confermare alcune convinzioni di base che noi abbiamo sul mondo, sugli altri e su noi stessi, che si sono formate precocemente nel corso del nostro sviluppo.
Tutti noi, quindi, cadiamo in alcune “trappole” del pensiero, definite distorsioni o bias cognitivi. Esse si verificano perché il cervello è come una macchina elaborata per dare significato e coerenza alla realtà, nel modo più lineare possibile. Ciò significa che abbiamo la tendenza naturale a selezionare solo le informazioni che confermano le nostre credenze iniziali, mentre tutte quelle che creerebbero una dissonanza cognitiva (un conflitto con le nostre ipotesi e convinzioni di base) vengono solitamente scartate, ignorate o minimizzate.
Questo meccanismo è utile per mantenere la nostra sensazione di vivere in un mondo che possiamo conoscere e prevedere, tuttavia, se tali distorsioni diventano rigide e pervasive ci ingabbiano in una visione negativa di noi stessi o del mondo e possono comportare alti livelli di sofferenza psicologica.
Per questo motivo risulta importante imparare a riconoscere queste trappole quando si presentano nei nostri pensieri e allenarsi a contrastarle.
Ecco alcune delle distorsioni cognitive più frequenti.
Ipergeneralizzazione
Arriviamo a trarre considerazioni generali su come vanno le cose o su come siamo fatti noi e gli altri, a partire da eventi specifici. Questa distorsione può essere facilmente riconosciuta perché nei nostri pensieri fanno capolino termini che esprimono concetti generici e assoluti (sempre, mai, nessuno, tutti…).
Esempio: Dopo una litigata con mia madre penso “Non mi ascolta mai!”, oppure dopo che un amico ha declinato la mia proposta di uscire penso “Nessuno vuole stare con me”.
Strategia per contrastarla: Alleniamoci a rimanere ancorati all’episodio specifico. Invece di dire “Nessuno vuole uscire con me” possiamo dire “Questa volta Gino non è voluto uscire, per motivi che non posso conoscere fino in fondo. Tuttavia l’altra volta ci siamo visti e siamo stati bene”.
Astrazione selettiva delle informazioni
Operiamo una selezione delle informazioni che confermano la nostra idea di base. E’ come se applicassimo un filtro mentale che fa vedere solo alcune cose e cancella le altre.
Esempio: Faccio una presentazione davanti a tante persone e parto da subito con l’idea che sarò poco interessante e farò una brutta figura. Mentre parlo inizio a notare nel pubblico una persona che guarda il telefono e poi una che parla con il vicino. Traggo la conclusione che sono noioso e poco interessante, ignorando il fatto che tutte le altre persone nel pubblico sono attente.
Strategia: Cerchiamo di considerare la situazione come se fossimo un osservatore esterno e non riguardasse direttamente noi e sforziamoci di considerare gli elementi nel loro insieme.
Lettura del pensiero
Siamo convinti di sapere quello che gli altri pensano, in particolare di noi, senza considerare altre possibilità. Questa distorsione è molto pericolosa, in quanto influenza il nostro modo di comportarci verso le altre persone e questo, a volte, può causare proprio le conseguenze che temiamo.
Esempio: Da un pò di tempo non vedo un’amica, in quanto ognuna ha i suoi impegni e non si riesce a trovare un incastro. Inizio a pensare che lei non voglia vedermi e che in realtà ce l’abbia con me. Questo mi porta a ritirarmi, non cercandola più. Che cosa viene avvertito dall’altra parte? Probabilmente, che sono io ad avercela con lei e a non volerla vedere, quindi la mia amica potrebbe effettivamente offendersi e smettere anche lei di cercarmi.
Strategia: Ripetiamoci che non possiamo conoscere realmente cosa sta pensando o provando l’altra persona, soprattutto se non glielo chiediamo esplicitamente. Prendiamo in considerazione più ipotesi alternative sui motivi per cui quella persona si sta comportando così. All’inizio non dobbiamo necessariamente credere a queste alternative, ma è importante allenarsi a una maggiore flessibilità interpretativa.
Ragionamento emozionale
Prendiamo una nostra emozione come prova a sostegno del verificarsi di eventi spiacevoli nella realtà.
Esempio: Mi sono iscritto ad un corso dove non conosco nessuno. Sto per andare alla prima lezione e mi sento preoccupato e impaurito del giudizio dell’insegnante e degli altri partecipanti. Partendo da queste emozioni mi dico che sicuramente qualcosa andrà storto, farò una figuraccia o gli altri mi giudicheranno male. Questo mi può spingere a rinunciare al corso o a partecipare rimanendo silenzioso in disparte.
Strategia: Le emozioni non predicono il futuro, ma ci segnalano semplicemente come ci stiamo sentendo in quel momento, quali sono i nostri desideri e le nostre paure. Ricordiamoci che se seguiamo troppo le emozioni probabilmente la nostra previsione verrà confermata, mentre se ci diamo la possibilità di vedere come vanno le cose, a prescindere da come ci sentiamo, potremmo scoprire che stavamo sbagliando.
Personalizzazione
Leggiamo gli eventi o quello che fanno le altre persone come conseguenza di qualcosa che riguarda noi, tipicamente una nostra mancanza o difetto.
Esempio: Mio marito mi dà una risposta frettolosa. Penso: “Perchè ce l’ha con me? Ho fatto qualcosa che non va”, quando più probabilmente sta semplicemente andando di fretta o è nervoso per qualcosa che gli è capitato.
Strategia: Anche in questo caso, come nella lettura del pensiero, alleniamoci a trovare spiegazioni alternative al comportamento degli altri.
Pensiero dicotomico (tutto o nulla)
Tendiamo a vedere le cose sotto forma di opposti (buono o cattivo, bene o male) e non come un continuum. Non vengono considerate le vie di mezzo. Questa rigidità di pensiero può essere molto disfunzionale, in quanto basta un piccolo errore per comportare sensazioni di fallimento totale.
Esempio: Ho la convinzione che o divento il migliore nel mio campo o sono un incapace.
Strategia: Pensiamo che nella vita sono poche le cose che possono essere ridotte a due condizioni opposte tra loro. Solitamente le persone sono fatte di sfumature, di aspetti positivi e negativi.
Esagerazione e minimizzazione
Quando giudichiamo noi stessi, gli altri o una situazione andiamo a ingigantire gli aspetti negativi e a minimizzare quelli positivi.
Esempio: Dopo un’uscita con una ragazza ricordo e dò molta importanza al fatto che ha sbadigliato mentre parlavamo, mentre non considero che alla fine mi ha detto di essere stata molto bene.
Strategia: Se abbiamo la tendenza a minimizzare o esagerare, proviamo a quantificare quel preciso concetto ponendolo su una scala da 0 a 10. Ti suggeriamo alcune domande che possono esserti utili per valutare meglio la realtà: Ci sono prove a favore della mia conclusione?- Ci sono prove contro la mia conclusione? – Provo ad elaborare una conclusione alternativa
Doverizzazioni (o imperativi)
Ci diamo alcune regole fisse e rigide su come devono essere fatte le cose e avvertiamo come negativo il fatto che queste condizioni non vengano rispettate. Questa distorsione è facilmente riconoscibile perché è caratterizzata da frasi che contengono la parola “devo…”, “dovrei…”, “si deve…”.
Esempio: Dopo che il mio capo mi fa notare un piccolo errore penso: “Non devo sbagliare mai più” oppure “Devo sempre mostrarmi perfetto”.
Strategia: Tutte le volte che ci rendiamo conto di utilizzare parole come “devo fare così”, “va fatto in questo modo”, “devi fare…” proviamo ad usare formule più flessibili come “è preferibile”, “sarebbe meglio se…”.
Come imparare a riconoscere questi pensieri?
Una volta enunciate le principali distorsioni cognitive, che ricordiamo essere convinzioni di base che noi abbiamo sul mondo, sugli altri e su noi stessi, probabilmente vi starete chiedendo come fare per individuarle quando arrivano alla nostra mente.
E’ importante in primis portarvi a conoscenza del fatto che nel corso della giornata ognuno di noi riesce a concepire in media 70.000 pensieri distinti. Di questi, non tutti risultano essere disfunzionali, ma il problema risiede nel fatto che molto spesso alcuni pensieri si ripetono giorno dopo giorno, diventando sempre più rigidi e limitandoci nel vivere a pieno la nostra vita. Ovviamente noi siamo interessati ad identificare solamente quei pensieri che distorcono la realtà, che sono emotivamente angoscianti e/o che interferiscono con la capacità di raggiungere gli obiettivi.
Spesso non siamo coscienti di essi, ma tramite un piccolo allenamento e le giuste domande possiamo facilmente portarli alla coscienza. Nel momento in cui diventiamo consapevoli dei nostri pensieri, possiamo chiederci se essi rappresentano effettivamente la realtà delle cose.
Quali sono quindi le giuste domande che possiamo porci per elicitare questi pensieri? Fondamentalmente sono due:
“Che cosa mi sta passando per la mente ora?”
“Che cosa mi stava passando per la mente proprio allora?”
Esse vanno ripetute frequentemente a noi stessi fino a che non arriva il pensiero e poi a cascata tutti gli altri, che vi consigliamo di mettere per iscritto così da poterli osservare in maniera più distaccata e oggettiva.
Se aveste riconosciuto di avere alcuni pensieri disfunzionali caratterizzati da distorsione cognitive che vi causano un alto livello di stress o sofferenza psicologica, sappiate che potete chiedere aiuto ad un professionista.
La psicoterapia vi può aiutare a mettere meglio in luce queste trappole nei vostri pensieri e soprattutto a metterle in discussione, allenando la flessibilità cognitiva e la capacità di vedere le cose sotto altri punti di vista.